Atreyu: Perché Fantasìa muore?
Gmork: Perché la gente ha rinunciato a sperare, e dimentica i propri sogni, così il Nulla dilaga.
Atreyu: Che cos’è questo Nulla?
Gmork: È il vuoto che ci circonda. È la disperazione che distrugge il mondo, e io ho fatto in modo di aiutarlo.
Atreyu: Ma perché?
Gmork: Perché è più facile dominare chi non crede in niente ed è questo il modo più sicuro di conquistare il Potere.
Atreyu: Chi sei veramente?
Gmork: Io sono il servo del Potere che si nasconde dietro il Nulla. Ho l’incarico di uccidere il solo in grado di fermare il Nulla. L’ho preso nelle paludi della Tristezza. Il suo nome era Atreyu.
Atreyu: Se tanto dobbiamo morire, preferisco morire lottando. Attaccami Gmork! Io sono Atreyu!!!
(Dialogo tratto dalla trasposizione cinematografica de La Storia Infinita, di M. Ende)
La mostra nel Padiglione Centrale all’interno dei Giardini alla Biennale di Venezia apriva quest’anno con una stanza circolare la quale recava nel centro, sottovetro, l’originale illustrato del Libro Rosso o Liber Novus di Carl Gustav Jung (1), e alle pareti alcuni estratti di tali magistrali e visionarie illustrazioni. Per quale motivo – in molti si saranno chiesti – collocare in apertura della più prestigiosa mostra di arte contemporanea, il racconto di un viaggio spirituale? E per di più opera non di un artista ma di uno psicanalista, benché si tratti sicuramente del più grande del 900 (e i Freudiani non ne abbiano a male). All’interno dell’utopico Palazzo Enciclopedico – questo il tema fondante di questa Biennale – un’opera straordinaria che di certo supera, me lo si conceda, in quanto alla grandezza del suo contenuto e all’importanza del suo messaggio, tutte le altre opere esposte.
Evidentemente perché, volenti o nolenti, la Biennale torna a registrare e mostrare, attraverso le arti che ne sono specchio, quelle che sono le esigenze più impellenti per la società contemporanea. Perché di quel Nulla, contro cui era inesorabilmente schierato Atreyu in quell’altro mito contemporaneo straordinario che è La Storia Infinita (2), evidentemente si inizia a sentire il freddo fetore ovunque, in tutti gli aspetti della nostra civiltà d’inizio millennio. Civiltà e cultura quella occidentale che (a differenza di quella orientale, dove il vuoto da sempre viene ricercato in un’accezione certamente positiva) da tempo “ha decretato ‘Natura Vacuum Abhorret’ (Noi abbiamo paura del vuoto)” [3]. Eppure, paradossalmente, è proprio nella vacuità, nel banalismo proposto dal tubo catodico, dallo star system e dai nuovi media, e nello svuotamento di significati che si è temporaneamente impantanata l’evoluzione dell’uomo, e nel nichilismo dilagante il rischio di una rassegnazione generalizzata di fronte alle sfide dei tempi. Dilagante dunque sembra essere il vuoto spirituale lasciato dalla ritirata dei ghiacci del benessere materiale. E le arti, ovviamente, non possono che influenzare prima, ed essere influenzate poi, da questo stato di cose.
“Sicuramente – ci dice James Hillman (4) – siamo tutti d’accordo che nel nostro mondo occidentale le arti sono in uno stato di confusione quanto i pazienti che vediamo. Anche le arti soffrono a causa dello sfruttamento, della commercializzazione, dei deliri di grandezza, della scarsa stima di sé, di un arido razionalismo, del carrierismo, del gallerismo, della mania di successo, della vulnerabilità alla critica, della perdita di una direzione e di una finalità, del personalismo di un Io inflazionato… e così via. Ciò che sembra perduto, per le arti, è proprio quello di cui ogni giorno la terapia si occupa: l’anima”. (5)
E qualche decennio prima già Jung ci avvertiva: “abbiamo spogliato ogni cosa del suo mistero e della sua numinosità: non vi è più nulla di Sacro […] … Le tradizioni morali e spirituali sono crollate, provocando ovunque disorientamento e dissociazione” (6). Questo perché nell’allontanarsi dalla natura in nome della civilizzazione, l’uomo ha completamente eliminato la sua partecipazione emotiva agli eventi naturali stessi, i quali avevano per lui un significato simbolico. La società dei consumi ha compiuto poi un ulteriore passo nell’annientamento dei riti e simboli tradizionali, per sostituirli con quelli nuovi del marketing e del culto dell’oggetto.
E ancora, “Viviamo nel momento adatto – a una metamorfosi degli dèi… Le future generazioni dovranno tener conto di questa trasformazione densa di conseguenze, se si vorrà che l’umanità non si autodistrugga…” (7). Autodistruzione purtroppo già a buon punto, sia sulla natura che sulle appiattite coscienze degli uomini, visto l’evidente stato di paranoia in cui versa la società contemporanea. Patologica e infelicemente senza Dio; un’umanità profondamente sola proprio perché incapace di conoscere se stessa, annoiata perché totalmente ignorante delle potenzialità della mente: incapace di abbeverarsi all’inesauribile fonte salvifica dell’immaginazione.
“La paranoia – dice Hillman – è un disturbo del significato” (8). Ma innanzitutto, egli dice: “Primario è il disturbo dell’immaginazione, l’incapacità dell’immaginazione a circoscrivere il passato con i suoi traumi. L’impedimento dell’immaginazione si manifesta come emozione eccessiva. Infatti, quando l’emozione non è contenuta entro la propria immagine, quando le immagini sono state ridotte in qualità, catturate dal commercialismo collettivo, utilizzate fino allo sfruttamento, svuotate dal razionalismo, allora l’emozione dilaga incontrollata e dobbiamo curarla con i farmaci, o esorcizzarla con terapie della liberazione o dell’espressione. Io invece sostengo che la cura fondamentale per l’emozione disturbata è il recupero dell’immaginazione, e soprattutto di quell’immaginazione […] che accoglie e dà spazio alle potenze che un tempo erano chiamate Dèi” (9).
Nel corposo e profondo messaggio psicologico di Jung e Hillman dunque – ed ecco il motivo specifico del mio intervento – anche l’implicito lascito teorico per lo sviluppo di una nuova coscienza estetica: la direzione per una nuova arte che non sia solo attenta alle esigenze del mercato e al grido dell’ultima perversa moda, ma che si faccia veicolo e strumento per condurre l’uomo in questo importante e delicato momento della sua evoluzione. E così come l’organismo lancia attraverso la malattia psico-somatica l’avvertimento di uno stato di squilibrio nell’anima, la società palesa attraverso le sue arti (ufficiali) la presenza di uno stato patologico, laddove il millenario ruolo delle stesse è stato capovolto in favore di una fasulla interpretazione delle necessità primarie.
Se il Rinascimento è passato alla storia come l’epoca in cui i potenti illuminati insieme a chi deteneva la conoscenza, si sono prodigati con ogni mezzo per far si che l’arte (quella ufficiale, di allora) fosse lo strumento per mostrare e tramandare tutte quelle nozioni utili all’uomo per elevarsi oltre se stesso, la nostra epoca passerà invece alla storia, anzi all’oblio, come il grigio periodo in cui chi muove i fili di tutto ciò che è ufficiale, fa l’impossibile per ingabbiare l’uomo nei suoi istinti più bassi, illudendolo che quelle verità fittizie siano il solo paradigma possibile.
Ma noi questo non lo possiamo permettere. E lo stato di crisi deve diventare allora il momento in cui fermarsi per identificare il problema: dapprima individuarlo, iniziare a vederlo, e focalizzare poi le energie per superarlo. Così come il Medioevo fu necessario al germogliare della sensibilità Gotica, che gettò le basi per l’avvento del Rinascimento, così noi oggi non ci dobbiamo spaventare di questa situazione, ma innanzitutto prenderne consapevolezza e pianificare prontamente in quale direzione guardare, prima e muoverci, poi.
“Se Dio è morto, è stato perché era troppo in buona salute; perché aveva perduto il contatto con l’intrinseca infirmitas dell’archetipo… […] …Se coloro cui stanno a cuore le sorti della religione volessero ripristinarne la salute e riportare in vita il suo Dio, un primo passo di questa restituzione alla vita sarebbe quello di togliere al Demonio tutte le patologie che gli sono state accollate” (10).
“L’uomo ha bisogno, disperatamente bisogno di una vita simbolica […] …solo la vita simbolica può esprimere i bisogni dell’anima […]. I simboli che esprimono concetti e verità eterni non possono essere sradicati senza che ne derivino gravi perdite. Se sono stati rimossi o trascurati, la loro energia specifica si inabissa nell’inconscio con conseguenze imprevedibili. Questa energia apparentemente perduta riporta in vita e intensifica quel che predomina nell’inconscio: tendenze che finora non hanno avuto alcuna opportunità di dispiegarsi o non hanno potuto vivere liberamente nella nostra coscienza, così che formano un’Ombra sempre presente e distruttiva. Persino tendenze che avrebbero potuto esercitare un influsso benefico, si trasformano in autentici demoni quando sono rimosse” (11).
Non è un caso se dagli albori della storia l’uomo si affida alla raffigurazione visiva per fissare e poter osservare meglio quei concetti invisibili (e che solo l’intuito gli permette comunque di percepire) che definiscono le forze le quali regolano il funzionamento della natura e dell’uomo stesso. Il legame tra immagine ed emozione cui fa riferimento Hillman, può essere dunque rinsaldato tramite un rinnovato interesse per gli archetìpi: immagini cariche di numinosità, cioè di energia psichica tale da renderle dinamiche e “vive”, “energie” che “quando si manifestano nella forma originaria, sono immagini e nello stesso tempo emozioni… […]. E’ un errore grave trattare un archetipo come se fosse un semplice nome, concetto o una semplice parola, poiché è assai più di questo: è un frammento di pura vita, un’immagine che il ponte dell’emozione collega all’individuo vivente […]. Quando si spoglia un’immagine archetipica del suo particolare tono affettivo, della sua numinosità, le si strappa la vita. Riducendola a una vuota denominazione, la si può riallacciare ad altre rappresentazioni mitologiche e infine dimostrare che tutto significa tutto. I cadaveri di questo mondo sono tutti chimicamente identici, ma non gli esseri umani” (12).
Il grande merito del Surrealismo è stato quello di aprire uno squarcio, ricordare all’uomo moderno, sulla scorta delle rivoluzionarie idee di Freud (13), dell’esistenza dell’inconscio e degli sconfinati territori della mente. E se Magritte ci ha insegnato che le parole non sono adeguate a darci una spiegazione completa di tutta la fenomenologia dell’esistente, noi ora sappiamo grazie a Jung che un certo tipo di immagini possono esserci invece di grande aiuto nel colmare questo tipo di lacuna cognitiva. Si guardi indietro per andare avanti, perché la storia, di quelle immagini è stracolma. Sopravvissute alla censura, al rogo e all’inganno, esse ci testimoniano la grandezza dell’uomo e la capacità del mistero di sopravvivere ai falsi dogmi. “Studiare il simbolismo individuale e collettivo è un compito enorme, che è ben lungi dall’essere realizzato. Ma se non altro abbiamo cominciato. I risultati finora acquisiti sono interessanti e sembrano prefigurare una risposta a molte delle questioni su cui s’interroga l’umanità attuale” (14). E’ una direzione, non di certo l’unica. E il mio un invito implicito per tutti quelli che si cimentano al mondo delle arti, a trovare il coraggio di schierarsi dalla parte di Atreyu, l’autenticità, la luce, perché una battaglia c’è e dura da secoli, e non possiamo permetterci di chinare la testa innanzi alla vile vacuità di Gmork.
Alessandro Bulgarini
(16 gennaio 2014)
“In ogni conflitto le manovre regolari portano allo scontro, quelle imprevedibili alla vittoria.” (Sun Tzu, L’arte della guerra).
Note:
1. Carl Gustav Jung (Kesswil, 26 luglio 1875 – Küsnacht, 6 giugno 1961) . E’ stato uno psichiatra, psicoanalista e antropologo svizzero. Inizialmente vicino alle concezioni di Sigmund Freud, se ne allontanò nel 1913, dopo un processo di differenziazione concettuale culminato con la pubblicazione, nel 1912, di La libido: simboli e trasformazioni. In questo libro egli esponeva il suo orientamento, ampliando la ricerca analitica dalla storia del singolo alla storia della collettività umana. C’è un inconscio collettivo che si esprime negli archetipi, oltre a un inconscio individuale. La vita dell’individuo è vista come un percorso, chiamato processo di individuazione, di realizzazione del sé personale a confronto con l’inconscio individuale e collettivo.
2. Michael Ende, La storia Infinita, 1979
3. James Hillman, Psicologia Alchemica, Adelphi
4. James Hillman (Atlantic City, 12 aprile 1926 – Thompson, 27 ottobre 2011). E’ stato uno psicoanalista junghiano, saggista e filosofo statunitense. Figura non riducibile in schemi accademici nonostante i titoli curriculari, ottimo scrittore, probabilmente ormai più filosofo che psicologo, Hillman è riuscito a evidenziare e a far condividere la necessità, per l’uomo postmoderno, di riconoscere e coltivare le connessioni mentali e psicologiche che lo legano alle sue radici culturali antiche, o addirittura arcaiche – e non solo in quanto singolo portatore di turbamenti e patologie dell’anima, ma in quanto componente di una società non meno turbata e patologica di lui.
5. James Hillman, Politica della Bellezza, Moretti & Vitali
6. C.G. Jung, Sanare la frattura, in La vita simbolica, Bollati Boringhieri
7. C.G. Jung, Sanare la frattura, in La vita simbolica, Bollati Boringhieri
8. James Hillman, La vana fuga dagli dei, Adelphi
9. James Hillman, Politica della Bellezza, Moretti & Vitali
10. James Hillman, La vana fuga dagli dei, Adelphi
11. C.G. Jung, Sanare la frattura, in La vita simbolica, Bollati Boringhieri
12. C.G. Jung, Sanare la frattura, in La vita simbolica, Bollati Boringhieri
13. Sigmund Freud (Příbor, 6 maggio 1856 – Londra, 23 settembre 1939). E’ stato un neurologo e psicoanalista austriaco, fondatore della psicoanalisi, una delle principali branche della psicologia. Ha elaborato una teoria scientifica e filosofica, secondo la quale i processi psichici inconsci esercitano influssi determinanti sul comportamento e sul pensiero umano e sulle interazioni tra individui. Di formazione medica, tentò di stabilire correlazioni tra la visione dell’inconscio, rappresentazione simbolica di processi reali, e delle sue componenti con le strutture fisiche del cervello e del corpo umano: queste speculazioni hanno trovato parziale conferma nella moderna neurologia e psichiatria.
14. C.G. Jung, Sanare la frattura, in La vita simbolica, Bollati Boringhieri.