La sapienza delle immagini. Intervista ad Alessandro Bulgarini e Luca Siniscalco
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16 Novembre 2020
IN OCCASIONE DELLA MOSTRA PERSONALE ANDATA IN SCENA ALLO SPAZIOAREF DI BRESCIA, ABBIAMO INTERVISTATO L’ARTISTA ALESSANDRO BULGARINI E IL CURATORE LUCA SINISCALCO.
Alessandro Bulgarini è un pittore bresciano classe 1983. La sua arte è fortemente simbolica, filosofale e ricca di richiami: da Ernst Fuchs a Carl Gustav Jung, da Hieronymus Bosch a Jorge Luis Borges, giusto per citarne alcuni. In occasione della sua ultima personale, IconoSophia, presso lo SpazioAref di Brescia, abbiamo rivolto qualche domanda a lui e al curatore della mostra, Luca Siniscalco.
Alessandro, raccontaci la genesi di IconoSophia. Credi che questa mostra sia in continuità con il tuo percorso?
Il progetto IconoSophia è nato già nel 2018, a pochi mesi dalla conclusione della precedente mostra Alta Fantasia, ma sono stati necessari due anni per pervenire a una sede adeguata per poterla proporre. IconoSophia si pone certamente in continuità con le mostre precedenti e propone anzi una definizione complessiva della mia scelta estetica, tracciandone i canoni ed esplicandone i riferimenti filosofici.
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Luca, in che senso la pittura di Alessandro può dirsi filosofale?
La pittura esposta in IconoSophia, nonostante il suo stile figurativo e “godibile”, non è decorazione seduttiva, raccolta di “belle forme” che lusinghino i palati conformisti dei moderni, né un placido esercizio di retorica estetica fin de siècle: è piuttosto un richiamo, vigile e perentorio, alla sapienza che si cela nelle immagini – e che dà il titolo alla mostra.
La pittura è “filosofale” nella misura in cui richiama il potenziale filosofico ed esoterico – conoscitivo, in ultima istanza – riposto nell’arte, che è, come asserivano i romantici tedeschi, gnoseologia superior, forma suprema di esperienza della realtà, in tutti i suoi gradi. L’arte autentica – del cui “grande stile” Nietzsche fu profetico cantore – è allora un gesto di superamento degli opposti, una pratica di trasformazione interiore che coinvolge tanto l’artista quanto lo spettatore, un’estetica fatta di eccessi e dissipazione creativa.
LE OPERE DI ALESSANDRO BULGARINI
Alessandro, parliamo un po’ delle opere. Quali reputi le più iconiche del tuo lavoro?
Innanzitutto, penserei a 3rD eye, la raffigurazione del “terzo occhio” in un ritratto 3D dove la figura cerca di fuoriuscire dalla tavola, e l’innesto oculare verticale rimanda all’iconografia della vesica piscis o mandorla. È un simbolo che rappresenta la comunicazione fra due mondi, due dimensioni diverse, ovvero il piano materiale e quello spirituale, l’umano e il divino, l’accesso al mondo immaginale. Poi all’Androgynus (contraria sunt complementa), con l’unione del maschile e del femminile, simbolismo alchemico ben presente in epoca rinascimentale ripreso da Jung con riferimento ad alcuni aspetti della psiche e relative problematiche. È il concetto della complementarietà degli opposti, l’Omnes concordant in Uno quale superamento della dualità dell’esistente percepito dai sensi.
Infine, mi viene in mente L’uccello dell’auto-conoscenza. Di fatto, il processo che porta allo sviluppo della consapevolezza ‒ ci insegnano gli antichi ‒ passa necessariamente attraverso la pratica dell’auto-osservazione. Il “ricordo di Sé”, il rimanere presenti a se stessi crea uno shock (il morso dell’uccello) che riporta la mente nell’Hic et Nunc: il “qui e ora” connesso anche alla meditazione, e presente in tutte le tradizioni sapienziali.
In che direzione guarda la tua arte?
Ho da sempre percepito una certa distanza con l’elemento nichilista ‒ prodotto del materialismo ‒ che permea e uniforma una parte della “cultura” contemporanea e sono andato alla ricerca di tutto ciò che fosse in antitesi a quel “vuoto”, in opposizione alla perdita del Sacro che ci ha reso la società psicotica di oggi. “L’arte dovrebbe mostrarci ciò che ancora dobbiamo conoscere” ‒ afferma il grande pittore visionario e raffinato indagatore dell’inconscio Austin Osman Spare. Ciò che la società di oggi dovrebbe voler conoscere, è ciò che ha dimenticato, a partire dalle proprie radici e tradizioni spirituali. Una volta ritrovata una certa identità storica e antropologica, sarebbe poi il caso che le venisse mostrato tutto ciò che può condurre l’individuo al proprio risveglio interiore, o quantomeno a una qualche presa di consapevolezza.
‒ Lorenzo Pennacchi