Apologia dell’immaginazione
Intervista ad Alessandro Bulgarini
Di Luca Siniscalco
Percorrendo gli studi critici dedicati alla tua opera, ci imbattiamo costantemente in riferimenti alle discipline filosofiche, religiose ed esoteriche: ierofania e dialettica fra sacro e profano, citando Mircea Eliade; gli archetipi dell’inconscio collettivo, riprendendo Carl Gustav Jung; l’esperienza della coincidentia oppositorum, sulla scia di Elémire Zolla e del Pensiero di Tradizione; la potenza disvelativa dell’iconostasi, scomodando Pavel FlorenskiJ; l’immaginazione attiva e creatrice, riferendoci a Henry Corbin. Mi permetto di allungare il già folto novero di intelligenze scomode che ti accompagna, citando Ernst Jünger: «L’opera d’arte è transeunte, ma attesta qualcosa d’immortale. Tutte le immagini visibili sono olocausti, sono servizio liturgico nell’ambulacro che conduce a un’immagine invisibile». In che modo, nelle tue opere, problematizzi la relazione fra dimensione individuale e immanente (visibile) e alterità assoluta e trascendente (invisibile)?
L’autentica necessità creativa che spinge l’artista a diventare e rimanere tale per il resto della sua vita, nasce dall’esigenza di rendere manifesto qualcosa che inizialmente non riesce a definire; inizialmente esiste solo un bisogno metafisico che col tempo inizia a delinearsi nella forma che il pittore decide di sviluppare tra infinite possibilità.
Come ci insegna Paul Klee: “L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è.”
Nella scelta concreta del “cosa” rappresentare mi sono presto convinto che attingere a quel background filosofico e sapienziale fosse per me la cosa giusta da fare, in opposizione totale con quello che percepivo essere l’andamento materialista della società.
E così oggi mi ritrovo, per scomodare nuovamente Florenskij, a raffigurare “quelle immagini che separano il sogno della realtà, che separano il mondo visibile dal mondo invisibile ed in tal modo congiungono i due mondi.” [1]
La mia pittura recente è intesa quindi, attraverso la continua rielaborazione iconografica del simbolo a creare un ponte, una comunicazione tra il mondo dei significati e quello della percezione. Come si legge nel bel testo che accompagna il catalogo dell’ultima mostra Alta Fantasia: “ogni opera equivale alla riorganizzazione compositiva di un particolare insegnamento ed è concepita come uno stratagemma capace di risvegliare nell’osservatore una domanda, generalmente sopita, sulla realtà.”[2]
Nelle Lezioni americane Italo Calvino parla di “pedagogia dell’immaginazione” come possibilità di mediare fra l’immaginazione interiore e la moderna civiltà dell’immagine di stampo occidentale. Dunque, fra individuale e collettivo, interno ed esterno. Ma siamo davvero nella civiltà dell’immagine? O, come sosteneva Jean Baudrillard, ci troviamo piuttosto in una società iconoclasta, che utilizzando pandemicamente le immagini come dei vuoti simulacri ne annichilisce la pregnanza simbolica?
Sicuramente oggi siamo andati oltre la civiltà dell’immagine, proiettati verso una virtualità della civiltà e – speriamo di no – dell’esistenza. Secondo taluni, avremmo noi oggi già varcato la soglia del post-contemporaneo.
Di certo, al di là delle definizioni, l’avvento dei social network ha determinato un propagarsi incontrollato dalle immagini virtuali, un “boom” che già sta mostrando segni evidenti di inquinamento psichico.
Credo che le premesse di Calvino non fossero poi così lontane da quelle di Baudrillard:
“Oggi siamo bombardati da una tale quantità d’immagini da non saper più distinguere l’esperienza diretta da ciò che abbiamo visto per pochi secondi alla televisione. La memoria è ricoperta da strati di frantumi d’immagini come un deposito di spazzatura, dove è sempre più difficile che una figura tra le tante riesca ad acquistare rilievo.”[3]
In aggiunta, da buon intellettuale ci ha avvertiti della necessità di sviluppare una pedagogia dell’immaginazione che abitui a controllare la propria visione interiore, per allontanare l’umanità dal pericolo di perdere una facoltà umana fondamentale: quella di pensare.
Verità tristemente attuale, lo stiamo vivendo.
Recentissima per esempio la formulazione del concetto di analfabetismo funzionale.
Un problema reale: basti guardare a taluni esemplari della classe politica.
Sono gli stessi anni in cui la televisione ed i telegiornali sono andati configurandosi in uno show grottesco che alterna la banalità al male, la negatività a falsi modelli di comportamento, in una lenta e costante strategia d’impoverimento culturale. La connessione tra le due cose, è innegabile.
“I media sanno adulare, celebrare, esagerare, ma non sanno immaginare, e dunque non sanno vedere.” [ James Hillman – Il codice dell’anima ]
Educare alla comprensione ed allo studio dell’immaginazione e pervenire allo sviluppo del pensiero intuitivo è del resto lo scopo preminente di tutte le scuole sapienziali e metafisiche, dall’Alchimia al Taoismo, passando per il Sufismo e lo Zen.
Profeticamente, Leon Battista Alberti sembra quasi metterci in guardia dalla bad television di cui sopra quando scrive, seicento anni orsono: “Niuna cosa estrinseca potrà ne’ nostri animi se non in quanto noi patiremmo ch’ella possa”[4].
Stiamo attenti dunque ai pensieri ed alle emozioni che decidiamo di far entrare nel calderone della nostra mente, perché essi determineranno la nostra realtà quotidiana.
Del resto, l’intera concezione del mondo rinascimentale ed in particolare il pensiero pedagogico dell’Alberti sembrano dirci chiaramente che il superamento della minaccia dell’integralismo passerà necessariamente attraverso la riscostituzione dell’uomo integrale.
La modernità è inizia lì; forse è il caso, tra un talent show e l’altro, di buttarci un occhio.
Nella mostra Alta Fantasia la nozione d’immaginazione sopra discussa viene indagata anche mediante alcune opere dedicate alla poetica di Jorge Luis Borges. Si tratta delle prime illustrazioni – in anteprima – del ciclo “Indagine sopra gli esseri immaginari”. Un completamento figurativo dell’opera dell’“orbo veggente” di Buenos Aires?
“L’indagine sopra gli esseri immaginari” è un ciclo di disegni pensato proprio per omaggiare Borges, che all’epoca del “Manual de zoologìa fantàstica”(1957) era già quasi completamente cieco; un dono affettivo e simbolico – il mio – per omaggiare una continuità nei confronti di una ricerca – la sua – di estremo interesse ed attualità.
Avvicinarsi agli esseri immaginari significa aprire uno squarcio sul Mundus Imaginalis, con tutto ciò che questo comporta: sono parte del substrato immaginifico del nostro inconscio collettivo; sono aspetti della natura e quindi anche della psiche.
Ma significa anche più semplicemente, iniziare a comprendere cosa guardiamo quando avventurandoci per una qualsiasi città italiana, ci imbattiamo in una chiesa Romanica, un resto Longobardo, delle rovine Etrusche oppure gloriosi lasciti del Rinascimento. Significa iniziare ad interrogarsi sulla visione del mondo degli Antichi, che cosa essi cercavano, sui simboli che di volta in volta la “committenza” decideva di rivolgere al popolo. Le nostre radici sono lì, sono anche quelle, nascoste sotto il nostro naso.
E’ necessario continuare a studiarle e valorizzarle al meglio, visto che la dimenticanza è un processo (anche) fisiologico.
Scrive Borges: “Ignoriamo il senso del drago, come ignoriamo il senso dell’universo, ma c’è qualcosa nella sua immagine che si accorda con l’immaginazione degli uomini, e così il drago appare in epoche e a latitudini diverse. E’, per così dire, un mostro necessario….”[5]
Carl Jung ci ha insegnato i perché di questa necessarietà.
Quali sono i riferimenti artistici, tanto classici quanto contemporanei, che ritieni vicini, per affinità elettiva, alla tua “equazione personale”?
L’incontro con Ernst Fuchs e l’ap profondimento degli scritti di Carl Jung sono stati fondamentali nell’aiutarmi a “sentire” e delineare sempre meglio la mia scelta estetica.
Infine, negli anni più recenti, lo sguardo rivolto alla figurazione contemporanea – di cui vi sono molti autori che ammiro – si è mescolato indissolubilmente con lo studio del Rinascimento e di quelle arti liberali che erano, come ci suggerisce Eugenio Garin: “…non più quelle che convengono ad un uomo libero, ma quelle che lo rendono libero.”
L’affinità elettiva è quella di continuare l’a-temporalità di un certo tipo di arte che fa dell’immaginario e dell’immaginale il suo oggetto di studi e dell’immaginazione il mezzo necessario per conseguire la conoscenza del cuore.
A. B.
“Tutte queste cose ignorate che pervengono alla luce mi fanno credere che la nostra felicità dipenda anch’essa da un enigma associato all’uomo e che il nostro solo dovere sia quello di sforzarci di conoscerlo.”
[ René Magritte, Scritti ]
[1] Pavel Florenskij, Le porte regali, saggio sull’icona
[2] Giulia Airoldi, Alta Fantasia (catalogo della mostra)
[3] Italo Calvino, Lezioni Americane: sei proposte per il prossimo millennio
[4] Leon Battista Alberti, Profugiorum ab Aerumma
[5] Jorge Luis Borges, Il libro degli esseri immaginari