Il ciclo inesausto: la saggezza immaginale di A. Bulgarini – di Giacomo Maria Prati
“la soluzione del nostro più intimo mistero si può trovare
nelle linee appena visibili incise nel nostro essere”
[ Gustav Meyrink, Il Golem ]
La pittura di Alessandro Bulgarini sorprende quasi sempre proprio per la disinvolta libertà del proprio processo di configurazione tale da risultare refrattaria a facili categorizzazioni e riduzionalità di maniera. Certamente come ogni autentica arte possiede una capacità mnemo-attrattiva per cui è facile richiamare alla mente contemplandola, ed è pittura che chiede e genera con-templazione, non semplice osservazione, il fenomeno storico della surrealtà nella sua giustapposizione di elementi immaginali inattesi e razionalmente spiazzanti. Come similmente richiama il simbolismo che connota ogni fine-secolo per la ricchezza traboccante di riferimenti e allusioni rappresentative.
Ma non si è detto ancora nulla perché il daimon di Alessandro tanto emerge in intensità e intensione nelle sue opere quali “visioni partecipabili” quanto si dà quale sfuggente e sfingeo a livello sia esperienziale che ermeneutico. Non è sempre l’arte nella storia figlia dell’arte quanto travalicante il “senso comune” e diacronico dell’arte stessa? Massimamente accade per le sue opere che appaiono fulgidamente border line tra il vedere e l’apparire, fra il condensarsi di un processo ideativo in corso e la stessa forza sinestetica e relazionale di tale processo il quale nel suo apparire intesse già la grammatica del proprio vedere. Non a caso l’artista stesso inventò saggiamente alcuni anni fa la ripresa di un antico termine, “icastico” per sperimentare con più auto-evidenza la partecipabilità della propria stessa opera. Caso raro ma illuminante di auto-ermeneutica che conferma in chiarezza come qui il rapporto arte-artista sia di creazione e non di produzione in quanto si mostra linguisticamente alieno al suo stesso autore nel suo staccarsi quale visione performante, come ci conferma l’urgenza di rinnovare il linguaggio quale istanza vitale sia per chi crea l’arte che per chi è chiamato a riviverla nella ricezione. Il daimon di Alessandro danza e incede con autorevole quanto viscerale sicurezza nei fluidi interstizi fra il blepein e l’oraein cioè opera dandosi la propria materia in tensione fra le due principali polarità del vedere greco, di solito oppositive e qui dialettiche tra “l’osservare l’oggetto” e il “guardare in visione” quale linguaggio libero e originario. Alessandro riesce a trattenere e vivificare la bellezza di entrambe le dimensioni: l’istintività dell’esserci presenziale dell’immagine quale “apparire” e il travalicare immanente del “vedere” quale partecipazione ontica sussistente in ciclo prima e dopo l’opera.
Tutto questo con una pittura tanto colta quanto ricca anche di una componente naif, cioè della freschezza fanciullesca del sogno e della carnalità leggera dell’aurora. Lo vediamo senza dubbio anche dal confronto da alcune sue opere, come se solo dall’accettazione di questa lingua sia possibile il logos che si sofferma in essa.
Se avviciniamo Psyche a Homo integralis ecco comparire un arco ideale delle vaste possibilità creative dell’autore: dall’abbozzare disegnativo tra estetica e ideatività nell’incrocio di una noesi proiettiva alla configurazione di una nuova quanto antica emblematica sapienziale che ha il coraggio di affrontare la Tradizione rivivendola in massima libertà e coraggio nel pensiero associativo-simbolico dove l’occhio diventa stargate con il fiore e il cuore e l’esempio ancestrale del Mithra della Galleria Estense di Modena appare freschissimo, appena sorto dalla pietra dalla mente e dal serpente del pensare intuitivo in un nuovo ri-velare, cioè presentare sempre nuovi veli espressivi e proiettivi.
Gli stessi concetti di icona e di simbolo appaiono spiazzati e obsoleti in questa pittura-vortice così chiaramente sorgiva quanto lucida e possiamo solo richiamare quale confronto pertinente e all’altezza i “movimenti archetipali” quali strutture profonde dell’”immaginario quale processo” su cui ha scritto pagine memorabili Gilbert Durand. La forza ancestrale e aurorale dell’archetipo libero però dalla rigidità della sua mentalizzazione ermeneutica ma recuperato in integralità di vita nel suo farsi mercuriale, nella sua dinamica fisica e fisicizzante.
Simile potenza immaginale troviamo in Sophia dove la lingua dell’Egitto quale mistero si compenetra con un cuore fiammante dalla mistica cristiana e compare anche un serpente-mondo tra gnosticismo e iconografia mariana. Ma è il volto di Donna Sapienza che illumina e irradia una vivente plausibilità dei sorprendenti incroci linguistici tra senso della scultura e dell’emblematica e una pittura quale coronamento platonico del kosmos stesso.
Come emblematici in e di una nuova “araldica dello Spirito” ritornano i frequenti esseri alati, cigni o oche che siano, dove il senso greco del volo e dell’apparire, già iperboreo, ritorna nella sua freschezza imperiosa quali totem guida, amici proprio perché non rassicuranti e intimi al nostro fluire profondo proprio perché alieni e selvatici nella loro autonomia linguistica.
Alessandro come pochi riesce a ridare il senso di cosa sia un “emblema”: un qualcosa di più fluido di un’allegoria e di più fisicamente condensato e implosivo rispetto al “simbolo”, qui recuperato nella sua presenzialità performativa più che nella sua funzione di rimando e travalicazione. C’è poco da andare oltre quando l’artista ti porta già mondi interi in eloquenza immediata.
Opere come 3rD eye mostrano chiaramente la genialità compositiva e sapienziale di Alessandro proprio all’interno della sfida della semplicità e ci mostra pure il suo carisma anti-retorico e sostanzialmente libero da sovrastrutture e barocchismi. Un semplice volto, carnale quanto simbolicizzante, che reca il “terzo occhio” non in orizzontale sulla linea degli altri ma sorprendentemente declinato in verticale, e con il cielo quale pupilla. Occhio totalmente spalancato e non a caso in risonanza con l’affascinante e sfingeo “linguaggio del sorridere”. Un sorriso accennato ma profondo, metamorfico, eloquente segno dell’Illuminazione compiuta e vittoriosa.
Bulgarini restituisce alla pittura l’antica e sempre fanciulla capacità di segni-ficare, cioè la capacità dell’immagine di tendersi dall’oggetto al “farsi segno”, cioè semeion: incontro, alleanza sapienziale, seme, sogno. Cosa aspettarsi o chiedere di più?
IconoSophia: la pittura filosofale di A. Bulgarini – di Luca Siniscalco
"E’ un luogo comune, oggi, parlare di “civiltà dell’immagine” (pensando ai nostri giornali, cinema e televisioni). Ma ci si chiede se, come tutti i luoghi comuni, anche questo non nasconda un radicale equivoco, un errore completo. Poiché invece di elevare l’immagine al livello di un mondo che le sarebbe proprio, invece che investirla di una funzione simbolica, rivolta al senso interiore, abbiamo soprattutto la riduzione dell’immagine al livello della percezione sensoria pura e semplice, e quindi la definitiva degradazione dell’immagine. Non dovremmo dire, dunque, che maggiore successo ottiene questa riduzione, più si perde il senso dell’immaginale, e più ci si condanna a produrre soltanto dell’immaginario ? […] Se non siamo più capaci di parlare dell’immaginario eccetto che come “fantasia”, se non possiamo utilizzarlo o tollerarlo che così, abbiamo probabilmente dimenticato le regole e le norme e l’ordine assiale che sono responsabili della funzione cognitiva o immaginativa.” [ Henry Corbin ]
Il progetto I c o n o S o p h i a presenta una nuova analisi critica (dopo le mostre Ierofania del 2015, Codice Sincretico del 2016 e Alta Fantasia del 2017) della ricerca estetica del pittore Alessandro Bulgarini, sottolineando la stretta correlazione – presente da sempre, in tutte le opere degli ultimi 10 anni – tra l’iconografia scelta, ovvero il “cosa” è stato raffigurato ed il necessario contenuto simbolico-filosofico, mai banale, cui ogni dipinto fa riferimento.
I c o n o S o p h i a è intesa dunque come la raffigurazione allegorica della Sapienza, ma soprattutto, come la definizione di una ricerca pittorica peculiare, focalizzata sullo studio e la rielaborazione sincretica delle iconografie delle varie Tradizioni sapienziali. In un periodo storico segnato da profonda instabilità sociale nonché da mutamenti epocali legati allo sviluppo delle nuove tecnologie da una parte, e l’emergenza ambientale dall’altra, la riscoperta delle radici della propria cultura e di quella degli altri popoli (sulla scorta del profondo lascito intellettuale di autori del calibro di Jung, Hillman, Eliade, Corbin) diviene una necessità imprescindibile per poter affrontare le sfide dei tempi. La pittura, nel farsi nuovamente canale di diffusione di bellezza ma soprattutto di conoscenza e significati profondi, diviene occasione di meditazione ed introspezione, nonché di dibattito culturale.
La pittura di Bulgarini si propone come un tentativo inattuale, in senso nietzscheano – e pertanto attualissimo – di riportare l’immagine nella sua dimensione figurativa più autentica, al centro della prassi artistica. Oltre certe iperboli concettuali e minimalistiche, colpevoli di privare l’arte della sua dimensione estetica – ossia sensibile, corporea e simbolica – ma nel contempo lontanissima da ogni malinconica rievocazione di un’arte mimetica e semplicemente decorativa, la poetica di Bulgarini s’impone mediante il riconoscimento della centralità dell’immagine.
La potenza espressiva dell’Icona, tradizionale strumento di collegamento fra visibile e invisibile, materia e spirito, immanenza e trascendenza, si manifesta in modo rinnovato nelle tele del pittore. Le quali sono tutte dirette a raffigurare – lo diciamo con le parole di Pavel Florenskij – «quelle immagini che separano il sogno della realtà, che separano il mondo visibile dal mondo invisibile ed in tal modo congiungono i due mondi».
Strumenti modernissimi, dunque – sin dallo stile, che richiama il surrealismo, arricchito di sarcastici riferimenti alla cultura contemporanea – usati per esprimere pittoricamente principi tradizionali, oseremmo dire arcaici. E perenni.
La saggezza (sophia) dell’icona si rivela infatti nella sua essenza creativa, capace di condurre l’astante nel regno della meraviglia, nel territorio insondato e insondabile dell’originarietà. Di quella chimera chiaroscurale che non si mostra nello sperimentalismo a tutti i costi, come talora si è portati a credere, quanto piuttosto lungo i crinali del terreno dell’Origine, dell’appartenenza alla propria identità di essere umano, che, come ebbe a notare lo storico delle religioni Mircea Eliade, si realizza integralmente proprio laddove, come insegna un’etimologia filologicamente forzata ma densa di suggestioni, l’uomo si fa humus, ossia terra.
Eccolo allora sondare le potenze profonde del nostro immaginario, il regno degli archetipi dell’inconscio collettivo che lo psicanalista svizzero Jung ha sapientemente saputo problematizzare.
La Terra, intesa come Madre, luogo generatore delle istanze elementari che pervadono il mondo simbolico dell’uomo, torna al centro dell’interesse artistico, apre squarci verso un mondo di immagini che toccano l’esperienza più intima degli spettatori. L’immagine, allora, perde ogni superficiale funzione ornamentale, dismette i panni del divertissment per divenire specchio di una problematizzazione radicale – filosofica pertanto – del reale. Paradossalmente, affinché l’arte possa confrontarsi con la realtà, anche nella sua dimensione socio-politica, è preliminarmente necessario che faccia epoché rispetto al mondo dei fenomeni, ossia, come insegna la fenomenologia, metta in discussione il mondo dell’apparenza per tornare su di esso con sguardo accresciuto e rinnovato.
Così I c o n o S o p h i a significa aprire la mente – ed il cuore – alla sapienza delle immagini, alla capacità, attraverso l’immaginazione, di riconnettere l’esperienza individuale a quella collettiva, la psiche personale all’anima mundi. Significa, in ultima istanza, abdicare al mondo dei simulacri proposto dalla società contemporanea, la cui apparente passione per la dimensione visiva cela in realtà, come ben spiegato dal filosofo Baudrillard, un’intima avversione iconoclasta nei confronti della natura autentica delle immagini. La cui abissalità sovrarazionale fu ben compresa da Carl Jung, che spiegò con genio: «Colui che parla con immagini primordiali, è come se parlasse con mille voci; egli afferra e domina, e al tempo stesso eleva, ciò che disegnato, dallo stato di precarietà e di caducità alla sfera delle cose eterne; egli innalza il destino personale a destino dell’umanità e al tempo stesso libera in noi tutte quelle forze soccorritrici, che sempre hanno reso possibile all’umanità di sfuggire ad ogni pericolo e di sopravvivere persino alle notti più lunghe… Questo è il segreto dell’azione che può compiere l’arte».Del pari Ernst Jünger ebbe a scrivere: «L’opera d’arte è transeunte, ma attesta qualcosa d’immortale. Tutte le immagini visibili sono olocausti, sono servizio liturgico nell’ambulacro che conduce a un’immagine invisibile».
Di questa prospettiva estetica alta e impegnata si è voluto far carico, fra gli altri, Alessandro Bulgarini. La sua proposta pittorica non è d’altra parte un grido solitario e inascoltato, bensì un richiamo alla funzione fondativa dell’arte che rientra all’interno di un vivace dibattito culturale. È difatti una spinta nodale nei momenti di discussione del paradigma culturale vigente in questa nostra attualità, quella modernità – o postmodernità, se si preferisce – che Roberto Calasso, il celeberrimo Editore di Adelphi, ha stigmatizzato nel suo ultimo saggio sotto la paradossale nozione di “innominabilità”.
L’opera di Bulgarini intende piuttosto gettare i tasselli di quella pedagogia dell’immaginazione tanto auspicata da Italo Calvino: strumento indispensabile con cui educare i giovani a un rinnovato amore per la bellezza e l’autenticità estetica. Un Pulcrum che sia, pertanto, un fulcro trascendentale inscritto nella stessa realtà sensibile – e non al di là di essa – una modalità conoscitiva tramite cui lasciar risplendere in modo rinnovato il cosmo e i suoi mirabili frammenti.
«La bellezza – ci spiega James Hillman – è una necessità epistemologica; l’aisthesis è il modo in cui noi conosciamo il mondo». Non resta che riappropriarci di questa primordiale facoltà gnoseologica rivolta alla comprensione di noi stessi e del mondo che ci circonda.
La pittura di Bulgarini è un segnavia lungo questo difficile ma affascinante percorso. Di contro a quella equivoca “civiltà dell’immagine” in cui, come ben intese Henry Corbin, «invece che elevare l’immagine al livello di un mondo che le sarebbe proprio, invece che investirla di una funzione simbolica, rivolta al senso interiore, abbiamo soprattutto la riduzione dell’immagine al livello della percezione sensoria pura e semplice, e quindi la definitiva degradazione dell’immagine».
"C'è l'ermetismo in cui non si entra perché è chiuso, quello in cui si entra e che ci rinchiude, quello che ci invita ad entrare per aprire ciò che è chiuso.” [ Antonin Artaud ]
Alta Fantasia – di Giulia Airoldi
"Quale sarà il futuro dell'immaginazione individuale in quella che si usa chiamare la "civiltà dell'immagine"? […] Penso ad una possibile pedagogia dell’immaginazione che abitui a controllare la propria visione interiore senza soffocarla e senza d’altra parte lasciarla cadere in un confuso, labile fantasticare, ma permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita, memorabile, autosufficiente, icastica.” [Italo Calvino – “Lezioni Americane, Sei proposte per il prossimo millennio”]
"L'immaginazione non è fantasia, la quale ultima è la pietra angolare della superstizione e della follia. L'immaginazione dell'uomo diviene pregnante attraverso il desiderio e fa nascere i fatti. Ognuno può regolare ed educare la propria immaginazione, e mediante essa venire in contatto con gli spiriti ed essere ammaestrato da essi. Gli spiriti che desiderano agire sull'uomo agiscono sulla sua immaginazione..." [Paracelso - “De virtute imaginativa”]
Lo sviluppo della facoltà immaginativa è un percorso di continua scoperta e di apertura della consapevolezza che permette di cimentarsi finalmente con la libertà, ma che comporta una certa presa di coscienza sulle dinamiche del mondo attuale: lo spettro del nichilismo è riuscito a dissuadere ogni spontaneità immaginifica e a sostituirla con modelli fuorvianti attraverso i media, ma anche, più subdolamente, svuotando di contenuto le forme auliche, per introdurre nuovi codici etici ed estetici. È una guerra antica, che ha assunto connotati specifici in relazione ad ogni contesto storico nel quale si è cimentata, ma che ha sempre dirottato le civiltà verso la mistificazione e la separazione. Questa guerra determinò la “morte di Pan” cioè il tramonto del culto oracolare, descritto da Plutarco[1] come emblematico del collasso della Grecia antica ed interpretato da Hillman[2] come un processo di rimozione collettiva: l’aspetto magico della natura smise di rappresentare un interlocutore affidabile, anzi venne declassato a favore di un nuovo approccio alla divinità, dottrinale e autoritario, di matrice semitica.
La stessa guerra cancellò materialmente, durante i secoli bui della Controriforma, buona parte del bagaglio di insegnamenti, affreschi, libri che aveva nutrito l’arte medievale, ma che usciva dai binari di una rinnovata ufficialità. Il tentativo di “eradicatio” dell’immaginario comune, dell’idea di un mondo sovrannaturale accessibile all’uomo, produsse mostri inquisitori e si tradusse in un progressivo allontanamento della società dall’elemento naturale.
Il processo di riappropriazione di antiche tradizioni spirituali e la loro divulgazione, intrapreso dalle scuole Jungiana, Gurdjieffiana e Teosofica, venne sabotato nel Novecento dalle due guerre mondiali , soppiantato da una cultura consumistica e da un pensiero laico nei quali perduriamo.
Le forme e i soggetti dell’arte visiva, in quest’ottica, hanno assunto la funzione di veicolare il mainstream del momento, con l’esito di avvalorare la profonda scissione andata creandosi tra il piano mentale e quello animico: la lotta contro la rappresentazione del mundus imaginalis ha confinato l’arte entro i rigidi parametri della speculazione, arrivando a sganciare l’aspetto sperimentale da quello simbolico. La constatazione di questo fenomeno determina immediatamente uno schieramento antitetico, risveglia un senso innato per la verità e la menzogna che, se sviluppato, diventa il presupposto per una strada trasversale.
Sulla base di queste premesse Alessandro Bulgarini ha costruito un percorso artistico coerente, con una poetica e una cifra inconfondibili. La spinta creativa non ammette disgressioni manieristiche, non giustifica l’autocelebrazione né il vezzo citazionista, nella convinzione che l’unica avanguardia possibile, l’unica capace di contrapporsi alle derive annichilenti di tanta arte contemporanea, debba fondarsi sulla condivisione di strumenti utili allo sviluppo dell’autocoscienza. La pittura di Bulgarini prosegue irriducibilmente su questa linea, è testimonianza della sua ricerca interiore, dello sviluppo delle sue percezioni intuitive, ma anche del confronto teorico con grandi artisti e maestri spirituali.
Ogni opera equivale alla riorganizzazione compositiva di un particolare insegnamento ed è concepita come uno stratagemma capace risvegliare nell’osservatore una domanda, generalmente sopita, sulla realtà.
Nelle “Sette variabili d’immaginazione” l’artista deduce analiticamente le regole che governano questa facoltà e le restituisce in modo didattico: aumento, riduzione, moltiplicazione, divisione, metamorfosi sono operazioni ‘immaginarie’ e dunque proprie di un piano extra-corporeo dove è possibile sperimentare ogni cambiamento di stato.
Lo studio delle antiche simbologie porta ad una riflessione sui geroglifici associati alle “Sette parti del Sé”, ovvero alle qualità energetiche che compongono l’essere umano e che, secondo la sapienza degli Egizi, devono essere risvegliate e purificate per una perfetta integrità dell’essere. Accostabile allo yoga e ad ogni scuola di meditazione, questa conoscenza è suggellata dalla ricorrenza del numero 7, associato ai cicli trasformativi.
L’interpretazione figurativa del geroglifico originale nasce dalla volontà di riappropriarsi di una semantica assoluta, in grado di evitare qualsiasi fraintendimento.
Italo Calvino, a conclusione del suo ciclo di Lezioni americane, programmava per la sesta (mai completata) di indagare il concetto di Consistency, ovvero della coerenza che deve intercorrere tra significante e significato, una “consistenza” che le parole e le forme (soprattutto quelle artistiche) devono possedere[3].
Nella quarta di queste lezioni, quella sulla Visibilità, Calvino citava Dante a proposito dell’Alta Fantasia[4], che connette l’umano ai regni superiori e permette di attingere ad immagini e musiche divine.
Nella mistica cristiana, come in quella sufi, questa facoltà fornisce la chiave dell’estasi, si sgancia dalla molteplicità del mondo animico e converge verso l’unità spirituale. La sacralità delle esperienze mistiche non ha mai, di per sé, contraddetto l’autenticità dei fenomeni psichici e dei mondi sottili più prossimi all’uomo, ha semmai indicato una strada di ascesi che permetta di trascendere le forze planetarie. I monaci tibetani raggiungono alti stati di elevazione, ma allo stesso tempo dialogano con le energie naturali, combattono i demoni infestanti, conoscono i segreti delle montagne.
L’immaginazione è dunque la capacità di spingersi oltre i confini del piano fisico e di indagare la gerarchia degli agenti incorporei che interagiscono con esso. “Non si tratta dei sensi e nemmeno delle membra dell’organismo fisico, né del puro intelletto, ma del potere intermedio la cui funzione sembra essere di mediatore preminente: l’Immaginazione attiva.” Così Henry Corbin[5] sintetizza una sapienza antica quanto l’uomo, quella che distingue ontologicamente un mondo intermedio tra quello umano e quello divino.
In opere come “3rD eye”, “Parallel Universe” e “The bird of self-knowledge”, Bulgarini invita ognuno a farsi strada con coraggio e a varcare la soglia che collega i due mondi, alla scoperta di sé e della realtà. Non c’è differenza, infatti, tra interno ed esterno, ma una mutua connessione tra gli elementi e la partecipazione ad un’unità infinitamente complessa. Sta all’uomo saper distinguere ognuna delle qualità sottili che contribuiscono alla propria specificità, per autorizzarla o rielaborarla a seconda dei suoi effetti, proprio come gli sciamani convertivano gli spiriti delle malattie in poteri curativi.
Nell’“Indagine sopra gli esseri immaginari”, ciclo di disegni ispirato alle descrizioni fornite da Borges[6], Bulgarini illustra alcuni dei principali animali fantastici, comuni a numerose credenze folkloristiche ed esoteriche. Compaiono la sfinge, l’unicorno, lo gnomo, la sirena, il drago, la mandragora, ma anche il ritratto dello scrittore nei panni di uno degli “animali sferici” che, secondo il racconto di Platone[7] , popolano il micro quanto il macro cosmo. In ogni cosmologia è presente un catalogo di esseri metafisici, classificati in base alle loro forme, alle loro funzioni e alla loro origine, a riprova di una suffragata relazione di questi con il piano materiale.
Dai culti tellurici dell’età primitiva fino ai bestiari medievali, dalla liturgia druidica ai trattati di medicina naturale, dai capitelli di età longobarda fino alla magia rinascimentale, la cultura europea è costellata di chiari riferimenti al mondo immaginale e, al pari di questa, la tradizione indo-tibetana, quella delle tribù africane, quella dei pellirosse, degli aborigeni, dei siberiani.
Lo sguardo sincretico dell’artista abbraccia questa molteplicità per distillare, alla maniera alchemica, il principio immutabile che sottende ad ogni manifestazione dell’essere.
[1] Plutarco, Sul tramonto degli oracoli.
[2] James Hillman, Saggio su Pan.
[3] Italo Calvino, Lezioni americane, Sei proposte per il nuovo millennio.
[4] “Poi piovve dentro a l’alta fantasia” Dante, La Divina Commedia, Purgatorio XVII,25
[5] Henry Corbin , L’immaginazione creatrice. Le radici del sufismo.
[6] Jorge Luis Borges, Manuale di zoologia fantastica.
[7] Platone, Timeo.
L’aura del sacro nel sincretismo iconografico di Alessandro Bulgarini – di Lucio Giuliodori
Sincretico è ciò che ingloba prospettive noetiche apparentemente differenti e lontane nel tempo, le unifica e le armonizza alla luce di una filosofia transtemporale e transculturale, perenne appunto, che frattalicamente include e sottintende anche lo stesso fenomeno religioso nella sua globalità, nella sua matrice primaria che pertiene al sacro. Si allude qui ad un’esperienza diretta della coincidentia oppositorum, un’esperienza metafisica che in quanto tale scardina le possibilità descrittive nonché gli ingranaggi della ragione calcolante e del pensiero sequenziale, le distinzioni binarie, dialettiche e causali alla luce di una possibilità, per nulla astratta purtuttavia stordente che Zolla riassumeva nella «compresenza dell’universo in ogni suo punto»[1].
Il sincretismo è un prisma in cui le varie tradizioni sapienziali della storia dell’umanità sfolgorano armoniosamente in una prospettiva di tolleranza e arricchimento.
Credo parta da questo affascinante presupposto il lavoro, serio e fruttuoso, dell’artista in questione, che proprio nella ricerca del vero fonda il suo orizzonte artistico. Quella di Alessandro Bulgarini è una pittura al contempo ermetica e surrealista, che in un affascinante periplo sincretista fonda la sua matrice estetica. Persistente è la ricerca del sacro e del suo congenito carattere cangiante che si occulta e si svela a condizione di un atteggiamento profondamente percettivo presente nella prospettiva del pittore bresciano che coagula arte e conoscenza, visioni e intuizioni in un percorso che fonda in interiore homine quel sentiero iniziatico che se solo intrapreso diviene manifesto: Visita Interiora Terrae come recita un suo dipinto citando il celebre motto alchemico. E’ in questo senso che la concezione estetica di Bulgarini si fa ierofania, portatrice di codici tutti da svelare, come nel caso del bellissimo Papa apocrifo dove sottesa c’è una sacrosanta critica al cattolicesimo come religione istituzionalizzata, inquisitoria ed ipocrita, nei fatti e nei concetti, in chiara antitesi con una prospettiva gnoseologica che nell’elemento esoterico vede il suo presupposto fondante e operativo di liberazione ontologica. Ed ecco che allora viene in aiuto La grande madre che celebra una prospettiva pagana, gioiosa, animica e, usiamo il termine senza abusarne, «spirituale». Ad essa si contrappone ancora, sul piano concettuale, l’emblematico Dei-cide (autodafè) dove un richiamo, quasi nietzscheano, risuona esplicito.
Il richiamo all’autoconoscenza è onnipresente, pensiamo a The Bird of Self-knowledge, dove l’invito alla Via iniziatica è evidente nella sua simbologia imperniata sulla trasmutazione. Molteplici sono le citazioni alchemiche, dal magnetico Alkaest (il solvente universale) al Cristico (Dis)solve et coagula, fino all’esplicito Alkimiya. In questi dipinti, più che in altri è oltremodo palese il monito della ricerca interiore, della trasmutazione, del fuoco dell’opera al nero, dei gradini e dei passi iniziatici da superare in vista del traguardo: la conoscenza segreta, l’evoluzione, l’harmonia mundi. Asserisce Eliade: «L’irruzione del Sacro non proietta solo un punto fisso in mezzo all’amorfa fluidità dello spazio profano, un centro nel caos; essa dà luogo inoltre a una rottura di livello, apre la via di comunicazione tra i livelli cosmici (terra e cielo) e facilita il passaggio, ontologicamente, da un modo di essere a un altro»[2]. Florenskij direbbe «dal reale al più reale».
E’ questa via di comunicazione sovrasensibile, rottura di livelli ontologici, che la pittura di Bulgarini si prefigge di creare, la ricerca, costante, di un piano ulteriore dell’essere a cui approdare e lì fermarsi, permanere, fluttuare al di là dell’«amorfa fluidità dello spazio profano», sprofondando nella transempiricità del sovrasensibile attinto tramite l’esperienza artistico-esoterica: pensiamo a Iconostasi, omaggio al già citato filosofo russo Pavel Florenskij e alla sua ricerca estetico-metafisica del contatto tra i due mondi: visibile e invisibile.
Questa ricerca interiore, che è espletata nella pittura ma nasce e cresce su vari livelli paralleli, intellettuale, spirituale, artistico, è mossa da un empito sincretista, pensiamo all’opera L’Adamo ed Eva sincretico, in cui è assente ogni forma di peccato e in cui il volto cosmico di Eva e la raffigurazione del serpente-kundalini, ridonano all’uomo quella congenita unione col Tutto, strappata con violenza dal dogmatismo monoteista, che è base di ogni vero inizio di conoscenza e libertà interiore. L’uomo è un re, un mago, brunianamente in armonia con l’universo che gli scorre dentro, come ci suggerisce l’Eva del dipinto: egli non pecca semmai conosce e più conosce più amplifica il suo potere, un potere che non ha per nulla bisogno di Dio in quanto già di per sé trascendente, già di per sé deificato, purificato, fortificato dal percorso iniziatico intrapreso, come suggeriscono anche i numerosi disegni su carta ai pigmenti d’oro filosofale, e l’incantevole Apò-kalyptein in cui l’occhio interiore non appare solo al centro della fronte ma si moltiplica nel corpo, quasi a suggerire un imprescindibile entanglement tra carne e spirito: l’uomo vede e conosce con e nella sua integralità, tutto il suo essere diventa Inneres Auge, per citare Battiato.
Se portanti sono i riferimenti al milieu esoterico, non è assente dalle opere un approccio di stampo prettamente surrealista, pensiamo a L’annunciazione degli spaghetti che ripropone il tema dell’individuo risvegliato che si differenzia dalla massa dei robot in serie, non più umani ma semplicemente addormentati come direbbe Gurdjieff.
Tra i dipinti che (in parte) esulano dai temi prettamente alchemici e iniziatici, va senz’altro menzionata l’opera American liberty (born in the USA) omaggio alla cultura sciamanica e al contempo denuncia all’aggressione occidentale. Un’ironia nietzscheana è presente, ancora, ne La rivincita dei giusti, in cui alla celebre croce, vuota stavolta, è appoggiata una scala, un’immagine forte e stringente, che rende giustizia a un Dio che se è veramente tale non può certo morire, nemmeno simbolicamente, nemmeno per sogno. In ultimo non si può non citare l’elegante lode a Nikola Tesla, Il martirio energetico di San Nikola Tesla, doverosa celebrazione del geniale scienziato vissuto in un mondo non ancora alla sua altezza.
Le opere di Bulgarini sono inviti a gettare lo sguardo, interiore, su varchi quadrimensionali, svelatori di realtà onnipresenti su piani paralleli, piani che risuonano con ciò che la cultura e la società religiosa e scientista ha voluto cancellare e demolire, facendocene perdere memoria perfino.
E’ sulla scia di questa ricostruzione delle sgretolate fondamenta noumeniche dell’essere che il pittore inserisce il suo percorso artistico-iniziatico, andando alla ricerca di quegli attimi rari che nella loro intensità rovesciano il fenomenico mondo dell’apparenza meccanicista.
Tornano ancora in mente le parole di Elémire Zolla che in Aure afferma: «Sapienza insegna a guarnire l’intimità come una dimora e a centellinare i ricordi raccolti, eliminando tutto salvo la memoria delle ore elette, quando sarebbe stato assurdo domandarsi il senso della vita, perché stava lì davanti a noi, reso sensibile in un’aura. La felicità intima è l’evocazione di questi momenti vissuti nel passato ma mai trascorsi, delineati nella luce limpida, abbagliata dell’interiorità, più vera di quella del sole»[3].
La ierofanica pittura bulgariniana si fa memoria delle ore elette, magicamente riapparse, ridipinte e ridimensionate nell’invisibile inondante il visibile.
[1] Zolla E., La filosofia perenne, Mondadori, Milano 1999, p. 21.
[2] Eliade M., Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, Torino 2006, p. 45.
[3] Zolla E., Aure. I luoghi e i riti. Marsilio, 2003.
Alessandro Bulgarini: L’eccesso dell’uomo – di Giancarlo Bonomo
La premessa
Sarebbe facile collocare l’opera di Bulgarini nella ricerca surrealista intimamente connessa alle ossessioni fobiche ed oniriche ch’ebbe la sua fioritura nella prima metà del ‘900. In quella fortunatissima epopea d’avanguardia, il rapporto con il reale veniva totalmente scomposto e sovvertito al punto da contrapporsi al logico per identificarsi quale mondo ‘altro’, autentica terra di nessuno in cui si potevano proiettare tutte le formazioni (e deformazioni) del pensiero e dell’immaginazione senza alcun limite. Bulgarini, invece, è artista ‘diversamente’ surreale e paradossale. Persegue una sua linea sia concettuale che stilistica ma, è questa la vera differenza, mantiene sempre costante un legame con la realtà del suo tempo e con la verità profonda dell’ente umano, aldilà delle scontate interpretazioni di carattere psicanalitico o delle perturbanti soggettività emozionali. Egli non rappresenta l’impossibile, l’irreale patologico, l’assurdo, bensì l’eccesso dell’uomo, i suoi travagli interiori, la condizione di vittima o carnefice a seconda delle circostanze. Sa confrontarsi con la storia scritta dai vincitori, con i poteri forti della politica e della religione, non disdegnando uno sguardo attento alla vanità delle umane azioni nei confronti della morte vista, nel suo caso, quale suprema ancella portatrice di giustizia. Attraverso una simbologia efficace – che non rinuncia ad un grottesco che sfiora discretamente il macabro – accentua a tinte forti gli accadimenti reali allo scopo di ricavare – senza moralismi – quelle esperienze paradigmatiche dell’anima in cui tutti possiamo identificarci aldilà delle convinzioni personali di qualsivoglia natura.
La forza della linea
La padronanza eccellente del disegno, la forza della linea che definisce e struttura l’impianto scenografico, rafforza la sua consapevolezza che il disegno è la diretta emanazione dell’idea nel contesto della figurazione. Nel suo inquietante teatro esistenziale, egli si pone quale regista esigente e meticoloso che pretende, e molto, dagli attori e dagli scenografi. Bulgarini non contempla la casualità degli elementi o l’imprecisione dei dettagli. Non ci sono approssimazioni o vaghezze, scollamenti e astrazioni indecifrabili. Viceversa, tutto è estremamente definito quasi seguisse un copione drammatico. La scena è chiara, eloquente e penetrante nell’immediato. L’impatto emozionale e concettuale dev’essere percepito come uno schiaffo emotivo e psicologico nei primissimi istanti della visione, senza differimenti nel tempo. In questo contesto, l’affermazione metodica e rigorosa di una cifra stilistica diviene imprescindibile principio che identifica in misura inequivocabile la ‘mano’ dell’artista, l’impronta dell’anima e di particolarissimi stati di coscienza.
Le tavole filosofiche: le ‘vanitas’ e la strage degli innocenti
Sono il cuore dell’iconografia dell’artista bresciano. In esse è contenuto il pensiero esistenziale e la centralità della sua essenza di uomo e di artista. Qui Bulgarini si esprime attraverso visioni lucide che preludono interpretazioni vicine ad un ermetismo pregno di simbologie ancestrali. Nel pensiero dell’artista vi è la convinzione di una sostanziale vanità delle azioni umane nei confronti della ruota del tempo e dell’ineluttabile fluire. E’ così che nelle scene visionarie fanno irruzione elementi archetipici volti ad evidenziare una verità delle cose ed una cecità delle umane, erronee convinzioni. Se non il tempo, la violenza degli uomini verso altri uomini porta la fine di imperi, ideologie, granitici modelli su cui si sono costruite le società moderne. I dittatori annegano nel loro stesso sangue, le religioni feroci si frantumano mentre un Cristo contemporaneo viene ucciso con un colpo di pistola sulla croce dall’ultimo, malvagio, re del mondo. L’umanità vive divisioni continue tra revenant (o morti viventi) e strenui difensori del Vero, conflitti fra crudeltà del potere ed anime pure in cerca di salvezza che boccheggiano nell’atmosfera ormai radioattiva. E, quel che è peggio, i nostri sogni, le favole, i miti che credevamo intramontabili, gli ultimi punti di riferimento, si sciolgono sotto un sole malato e perverso. Solamente i teschi, come conchiglie del tempo, rimangono a brillare nel deserto della vita, sotto quel terrifico sole. Sotto le nostre sembianze umane, siamo tutti così, tutti uguali. Anche gli innocenti vengono travolti dal male oscuro e non vengono risparmiati. I loro volti di burro si liquefanno perdendo progressivamente le proprie fattezze. Neppure i bambini vengono risparmiati da una società condizionante, perversa e crudele. I bambini come fiori recisi… subito annientati nella pienezza della vita. Scomparsi, come bolle di sapone. Un orsetto di pezza, simbolo della nostra spensieratezza semplice, viene impiccato dai malvagi col cuore di pietra. E’ un Bulgarini intenso, quasi tragico, in taluni dipinti troppo veri per essere semplici proiezioni immaginative o incubi notturni senza fine. Dio è morto davvero? Pare chiedersi l’artista. Quel nome di Dio che ha fatto muovere eserciti e spargere il sangue invano. Quel Dio fatto risorgere e poi… morire.
Dov’è la pietas? Fu detto: ‘Vi manderò come agnelli in mezzo ai lupi’. La profezia si è forse avverata? E qui il pittore si ferma, esige risposte, vuol comprendere cosa rimane dopo la dissoluzione finale. La forza d’animo non si rassegna e vuol reagire. Sono i momenti in cui la sua espressività concepisce l’homo noeticus, l’uomo il cui reperto anatomico presenta il cranio allungato. L’uomo che forse rientrerà in possesso della sua Coscienza in vita e oltre, nella trasformazione operata dal tempo. Muore la mente e, con essa, gli stati passionali ed emozionali ma la fiamma perpetua del Sé, essendo causa sui (causa di sé medesima) non può spegnersi. Un auspicio, una speranza. Eppoi l’Unicorno, la pura saggezza che pare essere immortale, così come l’albero della conoscenza che può crescere e divenire altissimo dentro di noi. Da un seme piccolissimo può svilupparsi un fusto gigantesco pieno di ramificazioni e fiorire nella consapevolezza luminosa della philosophia perennis. Perché, in potenza, Tutto è in noi.
L’opera in mostra alla 55.Biennale di Venezia: DEICIDE (Autodafé)
In un’ambientazione scarna e desolante, una corona di spine cinge come un terribile bavaglio un teschio in dissoluzione che riflette un sinistro candore. E’ il simbolo dei martiri e delle ingiustizie patite, in tutti i tempi. Il Senso religioso è offuscato dal potere delle religioni, dalle sue inutili vessazioni. Ci sono tante letture, tanti avvenimenti identificabili.
Ognuno può trovarvi il suo nell’universalità del Dolore e dell’ingiustizia. Un teschio unico quale sintesi simbolica di una storia che non doveva neppure svolgersi, ma abortire sul nascere. Bulgarini, ancora una volta, è esplicito. Non lascia spazio a nessun dubbio. Questo è quanto rimane dell’odio. Questo è quanto rimane dopo il trionfo della Tenebra.
Giancarlo Bonomo – Curatore Evento Collaterale ‘Overplay’
55. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia
Paroxysm – di Giulia Airoldi
“It would be so much easier not to care…it’s too hard to care” [A. Warhol]
Il termine “parossismo”indica il punto di massima tensione raggiunto da una situazione di qualunque tipo che al di là di quello può solo rompersi violentemente liberando il suo carico di energia accumulata. Gli effetti di tale rottura sconvolgono il precedente ordine cosicché non sia mai più possibile ripristinarlo e la fase che ne consegue è un azzeramento da cui procederà semmai la ricostruzione. Questo è, purtroppo e per chi ne ha coscienza, lo stato attuale della nostra civiltà che precipita spaventosamente verso il limite della sua identità, che non è più in grado di reggere il peso di se stessa né di nascondersi dietro al benessere. Decenni di messaggi promozionali e miti virtualihanno gonfiato un sistema di valori effimeri ormai prossimo alla saturazione, hanno ‘intrattenuto’ l’Occidente mentre le strutture sociali, politiche ed economiche andavano deteriorandosi seguendo traiettorie insondabili.
La pittura di Alessandro Bulgarini nasce dall’urgenza di testimoniare questo presente impervio, dalla volontà di reagire al vuoto di senso dilagante e di distinguersi con forza dalle derive della sub-informazione mediatica e della sub-estetica massificata. Confinare il suo lavoro in ambito anti-pop significa tuttavia considerarlo da un punto di vista prettamente oppositivo ad una linea artistica che seppur marginalmente lo connota, certamente non lo identifica.Il dialogo con l’estetica pop, evidente nell’approccio iconografico e nella scelta popular di contestualizzarsi storicamente, diviene assoluto antagonismo non solo nel rovescio dissacrante della citazione, ma anche e soprattutto in virtùdella ben chiara posizione ideologica dell’uomo-artista.La dichiarazione-manifesto di Andy Warhol è emblematica del distacco intellettuale e dell’indifferenza degli artisti cosiddetti Pop che a loro tempo, per non averne avuto accortezza, hanno generato una prassi artistica funzionale al mercato e allo star system. Una volontà che ha destrutturato il tradizionale rapporto con l’arte e che ha lasciato un’impronta tutt’ora notevole in certe produzioni seriali e nella mancanza di contenuti di buona parte dell’arte contemporanea. In quest’ottica Bulgarini ha scelto la linea “too hard”, quella della presa di coscienza nei confronti di una società annichilente e della conseguente denuncia dei suoi inquietanti retroscena, quella di una pittura colta e complessa, impegnata e irriducibile.
Essere anti-pop significa allora lavorare al ripristino dell’originaria funzione dell’opera d’arte, offrire cioè uno scorcio sulla verità attraverso lo stratagemma rappresentativo e favorirne la ricezione ricorrendo ad immagini ambivalenti. L’opera è concepita come una scena parzialmente svelata in cui realtà e illusione coesistono mostrando ciascuna il proprio rovescio nello specchio dell’altra e la cui chiave interpretativa viene fornita dal titolo che ne è parte integrante.
Alla comprensione intellettuale prevale l’attivazione della facoltà intuitiva, della libera associazione e dello shock, meccanismi psichici e linguistici indotti dall’artista. Il rapporto con le arti fantastica e surralista è stretto e sottoscritto, l’immagine funziona come fattore perturbante, scardinando le certezze semiologiche dell’osservatore. Opere come Goldman Sucks!, che alludeagli inquietanti retroscena della politica economica, o come Salvator mundi?!, il Cristo/Obama dispensatore di democrazia globale, o ancoraAmerican liberty, paradosso di una nazione che ha sterminato intere popolazioni per votarsi finalmente alla libertà, smascherano la storia contemporanea, i suoi miti e i suoi operatori proponendo per lo meno il dubbio che qualche aspetto di essa sia stato prudentemente occultato. Il martirio energetico di San Nikola Tesla non lascia in realtà molti dubbi riguardo ad una delle vicende più spinose della storia del Novecento, quella cioè dell’improvvisa morte dello scienziato e della misteriosa sparizione dei suoi studi sulla produzione di energia pulita e accessibile.
Ristabilendo la sua funzione principale, la prassi artistica torna dunque ad allinearsi con la sua missione fondante, con la volontà di tramandare, nascosti tra le pieghe della ricerca formale e dei pretesti pittorici, contenuti e metodi di una scienza originaria,creata per veicolare messaggi profondi. Una tradizione che si snoda come un filo rosso da un’epoca all’altra attraverso le arti, le scienze e le discipline spirituali, ma che a stento sopravvive al positivismo occidentale.
L’artista raccoglie questo testimone utilizzando figure e linguaggi appartenenti alle tradizioni esoteriche e alchemiche, potenti strumenti evocativi che agiscono nella memoria inconscia e invitano all’investigazione delle scienze più antiche della civiltà.NelleTabulaePhilosophicae è citata l’arborphilosophica, immagine che sintetizza la complessa dialettica tra l’albero della vita e l’albero della morte e che venne analizzata da Jung come archetipo inconsciamente condiviso, espressione dell’energia psichica. Il pellicano e l’unicorno sono alcuni degli animali simbolici utilizzati in alchimia per indicare il raggiungimento diuno stato di purezza mistica:il primo è metafora del sacrificio salvificodi Cristo, il secondosi riferisce al principio della concordia oppositorum, tema sviluppato in opere comeMonsinversa e che anima in generale tutta la produzione, inteso come sintesi della duplicità delle forze che generano la natura e del rapporto speculare che le determina. L’Autoritratto Tetrasomatico, di sapore daliniano, allude alla mitica figura del Giano bifronteche rivela la centralità emblematicadi un terzo occhio aperto e attivo tra le illusorie estensioni del passato e del futuro.
La citazione e la riqualificazione artistica di questi concetti nascono dal concepire l’alchimia, o qualunque altra tradizione esoterica, come descrizioni metaforiche dell’essere umano e del percorso che lo conduce alla scoperta del sé,un processo individuale di rimozione del velo e di apertura dell’occhio interiore.L’invito è rivolto con particolare urgenza all’uomo contemporaneo,inconsapevolefaber della propria disgraziata vicenda, e assume la portata di un monito contro l’incoscienza collettiva. Solo la volontà e il lavoro personali infatti, volti alla costituzione di una nuova e ben centrata identità, possono combattere l’inerzia sociale e determinare un reale progresso della storia occidentale.
Giulia Airoldi (marzo 2013)
Alessandro Bulgarini: the excess of man – by Giancarlo Bonomi (ENGLISH)
The premise
It would be too easy to simply classify the work of Bulgarini as surrealist and associate it with the surrealist avantgardemovement, thatprospered in the first half of the 20th century andthat was intimately connected with phobic and dreamlikeobsessions. Surrealism disintegrated and subverted the relation with reality, whichcontrasted with logicbecoming another world, an authentic nobody’s land on whichall formations – and deformations – of thought and imagination could be projected without limits. In fact, Bulgarini’s art is ‘differently’ surreal and paradoxical. Of course it hasasubject matter anda style of its own, but what really makes it different is its permanent connection with the current reality and withthe deep truth of the human being –beyond any commonplace psychoanalytic interpretation orperturbingemotional subjectivity.
Bulgarini’s work does not evoke the impossible, the pathological unreality, the absurd, but rather the excess of man, his torment, hisrole aseither victim or executioner,depending on the circumstances. The artist knows how to deal with the history written by the victors andwith the strong powers of politics and religion. He alsoanalyses the futility of human actionsagainst death that is, in his view, the supreme bearer of justice.
Through effectivesymbolism and a grotesque, almost macabre style, the artist magnifies real events in order to represent – without moralising – those paradigmatic experiences of the soul that unite us all beyondpersonal convictions of any kind.
The strength of the line
In a painting, the drawing is the first expression of the idea of the artist and Bulgarini is aware of that: his mastery of drawing and the strength of the drawn line allow the drawing to define and design the whole composition of the painting. In the disquieting theatreof life that he portrays, Bulgarini acts as demanding and meticulous director who expectsthe utmost from his actors and set designers. There is no room for randomness or imprecision, no approximation, vagueness, imperfections or incomprehensible abstractions are allowed. On the contrary, everything is planned as if it followed a drama script. The scene is clear, eloquent and penetrating. From the very first look, the observer perceives the emotional and conceptual impact of the artwork as an emotional and psychological blow. In this context, the methodical and rigorous establishment of a signature style becomes an essential principle toidentify unequivocally the ‘hand’ of the artist, the print of his soul and the expression of very peculiar states of consciousness.
The philosophical works: the ‘vanitas’ and the massacre of the innocents
These works, which arethe core of the artist’siconography,revealthe centrality of his essenceas a man and artist and his ideas about existence. HereBulgarini expresses himself through lucid visions, suggesting interpretations that are close to a Hermeticism full of ancestral symbols. Part of the artist’s thought is the conviction that all human actions against the wheel of time and the inexorable flow are vain. Therefore, visionary scenes are invaded by archetypal elements that show the truthandunderline the blindness of the erroneous human convictions. The end of kingdoms and ideologies –thesound foundations on which modern civilisations were built – arecaused not only by time, but also by violence. Dictators drown in their own blood and ferocious religions crumble while a contemporary Christ is shot and killed on the cross by the last, evil king of the world. Humanity is divided between the revenants – or living dead – and the courageous defenders of Truth:a conflict betweenevil powers and pure souls who strive for salvation while gasping in a radioactive atmosphere. What is worse, our dreams, the fables, the myths we believed to betimeless, our last reference points, melt under a sick and perverse sun. There is nothing left but the skulls, shining under thishorrific sun like shells of time in the desert of life. In our human appearance, this is what we look like: we are all alike. Not even the innocents are spared:they are swamped by the darkness of the evil. Their butter faces liquefy, slowly losing their features. Not even children are spared by thismanipulating, perverse, evil society. Children like cut flowers… annihilated right away at the peak of their life. They disappear like soap bubbles. A teddy bear, symbolizing lightheartedness, is hung by a stonehearted, wicked men.Bulgarini’s work is intense, almost tragic in some paintings that are too realistic to be simple projections of imagination or endless nightmares. ‘Has God really died?’, the artist seems to ask himself. That God for whom armies were deployed and blood was shed in vain. That God thatwas resurrected… and then let die again. Where ispietas? It was said: ‘I am sending you out like lambs among wolves’. Has the prophecy been fulfilled? At this point Bulgarini stops, he demandsan answer, he wants to see what is left after the final dissolution. Fortitude does not surrender but wants to react. In such moments,the expressiveness of the artist conceives the homo noeticus, the man with theelongated skull. The man who perhaps will get his Conscience back during his life or after it, in the transformation carried out by time. When the mind dies,passions and emotions diewith it,but the perpetual flame of the Self cannot die because it is causa sui, ‘cause of itself’.
An auspice, a hope. And then the Unicorn, pure wisdom that seems to be immortal, like the tree of knowledge that can grow higher and higherinside us. From a tiny seed a gigantic trunk can grow, with its infinite branchesblossoming in the bright awareness of the philosophiaperennis. Because potentially, Everything is inside us.
The work on display at the 55th Venice Biennale: DEICIDE (Autodafé)
In a bleak and desolate atmosphere, a crown of thorns encircles, like a terrible gag, a dissolving skull that reflects a sinister whiteness. It symbolizes the martyrs and the injustices they suffered throughout history. The religious Sense is blurred by the power of religions, by their useless oppressions. Many readings are possible, many events can be recognised in this work and everyone can find their own in the universality of Pain and injustice. One single skull symbolisinga history that should not have happened, but abort at the start. Once again, Bulgarini is explicit. There is no room for doubt. This is what remains of hatred. This is what remains after the triumph of Darkness.
Giancarlo Bonomo – Curatore Evento Collaterale ‘Overplay’
55. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia
Paroxysm – by Giulia Airoldi (ENGLISH)
“It would be so much easier not to care…it’s too hard to care” [A. Warhol]
“Paroxysm” is the point of maximum tension reached by whatever situation that, beyond this point, can only burst letting out the energy it hasaccumulated.The effects of this break upset the previous order of things, which is impossible to recreate. What follows is a phase of resettingfrom which reconstruction might begin. Unfortunately,this is the present condition of our civilisation: falling down towards the limits of its own identity, no more capable of bearing its own weight nor of hiding behind wealth. Decades of advertisements and virtual myths have fed a system of ephemeral values which is now close to saturation and have entertained the Western world while the social, political and economic systemwasdeteriorating, followingunpredictable trajectories.
The work of Alessandro Bulgarini comes from the urgency to testify a difficult reality. The artist wants to react to the pervading lack of sense andto stand out from the drifts of the sub-information provided by media and fromthe depersonalised sub-aesthetics. However, it would be unjust to simply define the work of Bulgarini as anti-pop because, although in a wayit is opposed to popular culture, it certainly cannot be defined by it. The relationship with pop culture, which is evident in the iconography and in thereferencesto the historical context, becomes absolute antagonism in the desecrating overturning ofreferences and, most of all,in the obvious ideological position of the man-artist. Andy Warhol’s manifesto is emblematic ofintellectual detachment and of the indifference of the so-called pop artists who, out of negligence, generated a kind of art that was functional to the market and to the star system. This wavechanged the traditional approach to art and left a visible sign that is still evident in some serial productions and in the lack of contents of a large part of contemporary art. This is whyBulgarini’s line is “too hard”: he realisesthat we live in an annihilating society and he wants to denounce its disturbing behind-the-scenes activity through an art that is cultured, complex, committed and irreducible.
Therefore, being anti-pop means working to restore the original function of the piece of art, that is, to offer a viewpoint on truth through representation and to facilitatethe understanding through ambiguous images. The work of art is thus conceived as a partially unveiled scene in which reality and illusion coexist, each one showing its own reverse in the mirror of the other one; the title, which is an essential part of the work, is the key to interpretation.
Over intellectual comprehension, the activation of intuition prevails, as well as free association and shock, all of which are psychic and linguistic mechanisms provoked by the artist. The connection with the Fantastic art and the Surrealist art is close and evident and the image functions asa perturbing factor,demolishing all the semiological certainties of the observer. Works such as Goldman Sucks!, alluding to the disquieting behind-the-scenes activity of the economic policy, orSalvator mundi??,representing Christ/Obama dispensing global democracy, or American liberty, showing the paradox of a nation that exterminated whole populations to finally devote itself to freedom; all these works unmask contemporary history, its myths and its protagonists and suggest that at least some of its aspects have been prudently concealed. Il martirioenergetico di San Nikola Teslais actually quite explicitabout one of the most controversial issues of the history of the 20thcentury, namely the sudden death of the scientist and the mysterious disappearance of his studies ofthe production of accessible clean energy.
Art re-establishes its original function and its fundamental mission, namely to pass on – even if hidden between theexperimentation with forms and the artistic pretexts – the contentsand methods of an original science that was created to convey profound messages. Atradition that has remained through the ages in arts, sciences and spiritual disciplines but now barely survives Western positivism.
Bulgarini accepts the challenge usingimages and languages that belong to the traditions of esotericism and alchemy:powerful evocative instruments that have an effect on unconscious memory and encourage to investigate the most ancient sciences of civilisation. Among the TabulaePhilosophicae, theArborPhilosophica represents the complex dialectic between the tree of life and the tree of deathand was defined by Jung as an unconsciously shared archetype, an expression of psychic energy. The pelican and the unicorn are some of the symbolic animals used in alchemy to indicatea state of mystical purity: the pelican is a metaphor for the saving sacrifice of Christ, while the unicorn represents the principle ofconcordiaoppositorum – developedin works such as Monsiversa – which is central to all works. Concordia oppositorumis the synthesis of the duality of the forces that generate nature and of the symmetrical relation that determines them. The AutoritrattoTetrasomatico, which recalls the style of Dalí, alludes to the mythological figure of Janus Bifrons thatreveals the emblematic centrality of the third eye, open and active between the illusory extensions of past and present.
The representation and the artistic requalification of these concepts stem from the conception of alchemy – and of any other esoteric tradition – as a metaphorical description of the human being and of his ‘journey’ of self-discovery, an individual process of removal of the veil and opening of the inner eye. It is a warning to collective recklessness and particularly to contemporary man, who isthe unaware faberof his own wretched life. Only individual will and effort, aimed at the construction of a new and clear identity, can fight social inertia and mark the next step in the progress of Western history.
Giulia Airoldi (march 2013)